In Bielorussia siamo andati oltre la protesta
Parla un poeta bielorusso che sta vivendo assieme ai suoi compatrioti una grande speranza di rinnovamento. La forza della non violenza ha trascinato la nazione, e iniziato qualche cambiamento…
Le proteste continuano dal 10 agosto scorso, ogni giorno ininterrottamente, a Minsk e in tutte le città bielorusse; a volte sono folle straripanti a volte semplici gruppi di persone ma tutti ribadiscono pubblicamente la richiesta di nuove elezioni presidenziali, questa volta «vere».
Ci sono stati momenti, soprattutto nei week end e nei grandi viali della capitale, in cui la folla ha raggiunto e superato i trecentomila, e in quei casi la polizia ha avuto paura e non ha potuto intervenire. In altri momenti i dimostranti erano qualche centinaio, e allora la polizia inseguiva, picchiava con cattiveria per fare male, trascinava nelle camionette e portava via centinaia di dimostranti. Ci sono stati numerosissimi fermi, pestaggi, calci, umiliazioni.
È tutta la società, dall’alto in basso che si sta muovendo. Non sono interessate solo alcune categorie: i colletti bianchi, gli intellettuali, l’opposizione… no, sono davvero tutti, che non vogliono rinunciare a far sentire il proprio legittimo diritto, cioè quello di eleggere un presidente che riscuota la fiducia del paese.
Le dimostrazioni di piazza non solo non diminuiscono ma si allargano e si differenziano, sono creative e duttili, perché quelle oceaniche richiedono un minimo di regia, degli organizzatori, i quali rischiano l’arresto con conseguenze sicuramente spiacevoli, vista la brutalità degli OMON. Per ovviare a questo, sono nate altre forme diversificate: le dimostrazioni spontanee «di categoria»: delle donne, la marcia dei medici – che hanno protestato in piazza, dopo aver dovuto curare ogni sorta di ferite e fratture negli arrestati – oppure la marcia dei pensionati, degli studenti, eccetera. Partecipano anche gli insegnanti, e questa è una novità, poiché questa categoria in Unione Sovietica era la più ideologizzata, dovendo fare da catena di trasmissione del consenso. Tradizionalmente, perciò, gli insegnanti erano figure discreditate e invece oggi molti stanno vivendo un recupero della dignità, e nelle manifestazioni spesso seguono i propri studenti.
L’ultima forma di protesta in ordine di tempo è quella delle manifestazioni «di quartiere» o anche «di cortile»: la gente si riunisce – talvolta anche un migliaio di persone – dispiega le bandiere bianco-rosse, intona canti popolari, organizza concerti e recital, partite di calcio fra rioni. Questo avviene nei punti più diversi delle città, all’improvviso, senza una regia e una pianificazione, anche nella più lontana periferia. E la polizia spesso non fa in tempo ad accorrere e intervenire che la manifestazione è già finita e ricomincia da un’altra parte. Anche nelle grandi fabbriche – come Bieloruskalij e Grodno Azot – c’è inquietudine, gli operai scioperano, inoltre lasciano in massa i sindacati statali per iscriversi ai sindacati liberi.
Gli operai scioperano e la gente fa le manifestazioni nei cortili. A me sembra che le azioni nei cortili siano più incisive degli scioperi, anche se sia gli uni che le altre vanno benissimo. Lo sciopero infatti è una forma di protesta «legale», in cui gli operai riconoscono il governo come interlocutore legittimo. Ma se il governo non ha più legge e si comporta in modo terroristico, allora non resta che una sola forma di protesta, che definirei «partigiana», quella che usiamo noi. Altrimenti si va allo scontro aperto.
Più che di una protesta, si tratta di una forma di democrazia diretta; la folla ha preso l’iniziativa e scende in campo in maniere sempre nuove, ma chiede sempre la stessa cosa, il rispetto dei diritti civili e nuove elezioni. Oppure, potremmo anche dire che non è più una protesta ma è la società stessa che si esprime. Perché le proteste hanno un senso quando hai davanti un governo legittimo, mentre qui in Bielorussia nessuno più ritiene che Lukašenko e la sua amministrazione abbiano la benché minima legittimità.
Qualcosa che viene prima della politica
Nel movimento attuale la politica sta ancora ai margini, è un compito per il futuro cui bisogna preparare la strada, non a caso non hanno alcuna funzione leader dei partiti politici e gruppi dell’opposizione, che pure esistono e lavorano da 25 anni almeno; quando queste formazioni hanno provato a indire dei meeting, non hanno raccolto più di 500 persone. Del resto le proteste popolari classiche, quelle che rovesciano i governi come sta avvenendo ora in Kirghizstan, dove si sono affrettati a occupare il parlamento, fanno delle fughe in avanti che poi non sanno sostenere, per mancanza di un’idea politica, e finiscono per creare un regime che assomiglia pari pari a quello abbattuto. Noi non vogliamo seguire questa strada, non abbiamo fretta, vogliamo seguire una democratizzazione reale, di base.
Il movimento non ha leader politici, ma al suo interno si mettono comunque in luce persone autentiche, che ispirano fiducia senza essere dei demagoghi. Pensiamo a Svetlana Tichanovskaja, che si è presentata alle elezioni per sostituire il marito arrestato, e che ha guidato la resistenza: il governo non l’aveva presa sul serio, una donna, una casalinga con bambini piccoli… e invece è rimasto spiazzato perché i cliché politici qui non tengono. La Tichanovskaja è in prima fila non per caso. Il suo non è un carisma politico ma, direi, più materno, dimostra integrità interiore e funge da garante per il futuro democratico. Da parte sua il governo, non sapendo più che fare e avendo paura, finge sicurezza e torchia la gente. Ma è un bluff. La gente ha imparato a prendersi gioco delle forze dell’ordine: quando hanno usato gli idranti, i dimostranti sono riusciti a manomettere le pompe così da farne delle specie di fontane.
I rapporti con la Russia sono molto interessanti. Nelle dichiarazioni ufficiali si è prefigurato più volte un intervento esterno, che sarebbe naturalmente rovinoso per noi. Ci minacciavano che con i russi non ci saremmo potuti permettere tante libertà, ma noi intanto proseguiamo a fare lo stesso, finché possiamo. In compenso sono fioriti i rapporti con i cittadini russi, con gli intellettuali ma non solo. All’appello che abbiamo lanciato molti hanno risposto prontamente, mostrando solidarietà, direi di più, speranza, perché lo scenario bielorusso è quello che vorrebbero vedere a casa propria, una risposta così corale, l’algoritmo della sollevazione generale. Per altro, il caso della città di Chabarovsk fa ben sperare. Io sono stato invitato a partecipare ad una tavola rotonda virtuale organizzata a Novosibirsk, in Siberia.
I preti si schierano
Per quanto riguarda le Chiese, soprattutto cattolica e ortodossa, sono stati colpiti i due primati. All’arcivescovo cattolico Tadeusz Kondrusiewicz è stato impedito di rientrare in Bielorussia dall’estero, dopo che aveva condannato le violenze contro i dimostranti e invitato alla mediazione; il metropolita ortodosso Pavel, dopo aver inizialmente plaudito alla «vittoria» di Lukašenko, qualche giorno dopo si è reso conto della realtà e ha persino chiesto scusa, visitando le vittime delle brutali repressioni della polizia. In seguito a questa presa di posizione è stato sollevato dalla carica dal patriarca Kirill. Così oggi la Bielorussia è stata privata dei suoi due primati più significativi, quello ortodosso Pavel, e quello cattolico Tadeusz. Il nuovo metropolita ortodosso Veniamin ha genericamente invitato a pregare Dio perché torni la pace, senza intraprendere nessun gesto concreto. In generale il basso clero è solidale con il popolo mentre le gerarchie ufficiali non vogliono rompere con il governo. A me piacerebbero prese di posizione più esplicite.
Tuttavia ci sono belle figure di presuli coraggiosi, come l’arcivescovo ortodosso Artemij di Grodno, che in predica ha ricordato a tutti come il rispetto per la persona venga da Dio. Per altro lui era un pastore appassionato anche prima; quattro anni or sono ha ospitato una mostra su Antonij Blum, una figura poco amata dai tradizionalisti. Anche il vescovo cattolico Jurij Kasabuckij, vicario della diocesi di Minsk, ha alzato vibrate proteste contro la polizia e le violenze degli ultimi tempi.
In ogni caso le Chiese sono vicine alla gente, tant’è vero che durante le manifestazioni in centro, quando la polizia e gli OMON caricavano i dimostranti, sono state spalancate le porte della cattedrale ortodossa dei SS. Pietro e Paolo per accogliere i fuggiaschi. Io stesso e mia moglie ci siamo salvati così, domenica 4 ottobre.
Anche per la Chiesa, come per la società, è iniziato un processo che porterà dei cambiamenti. La gente è stata toccata, è scossa. La differenza con il Majdan ucraino è che da noi non si è verificata una scissione all’interno dell’opposizione, non c’è un’ala nazionalista che spinge verso l’estremismo; non c’è il mito della nazione bielorussa. Qui i manifestanti per il 95% parlano russo, e tutti conoscono pregi e difetti del nostro paese. Vediamo la Bielorussia così com’è.
Il potere credeva di avere in mano la situazione, invece ha dovuto constatare che l’iniziativa non è più sua. L’iniziativa l’ha presa un popolo intero.
Così vinciamo
Così vinciamo.
La vittoria
Si compone
Di piccoli gesti omeopatici
che si notano appena,
Come si raccolgono a Minsk le marce
di centinaia di migliaia di persone
Dalle gocce dei cortili
Che gonfiano i ruscelli delle strade
E si riversano in un oceano umano.